Le identità false e il lessico della manipolazione online

immagine identità online false

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Catfishing, troll farm, astroturfing e altri termini per capire come funzionano inganni e strategie di disinformazione in rete

Internet non è popolato solo da persone autentiche. Anzi, si può affermare il contrario senza il rischio di essere tacciati di hot take. Negli anni si è consolidato un lessico sempre più ricco per descrivere profili fasulli, automazioni, campagne orchestrate e più in generale strategie che cercano di manipolare la percezione della realtà online. Questi termini non sono soltanto etichette: rappresentano fenomeni concreti che hanno cambiato il modo in cui interagiamo e ci fidiamo degli altri in rete.


Profili falsi e inganni individuali

Il fenomeno della creazione profili falsi o profili fake è molto comune online. Si va dal semplice divertimento di chi gioca a impersonare un’altra identità, fino all’uso fraudolento per truffe o molestie. In casi più estremi, in ambito sentimentale, questo scenario prende il nome di catfishing, termine ormai noto anche in Italia: consiste nel costruire un’identità fittizia, spesso con foto rubate, per ingannare persone in cerca di relazioni. Il termine è stato coniato e diffuso nel dibattito pubblico dal documentario dal titolo Catfish (2010) alla serie televisiva Catfish: The TV Show su MTV.

Accanto a questi casi, esiste la pratica dell’alt account, ossia un “secondo profilo” che un utente crea per muoversi in modo anonimo o dire cose che non scriverebbe con il proprio account principale. Non sempre si tratta di un inganno, ma spesso la funzione è quella di separare identità e mascherare comportamenti. Talvolta solo per necessità di avere un account di riserva, ad esempio nel caso di oscuramento o cancellazione del proprio account principale. Altre volte, solo per lasciarsi andare allo shitposting più selvaggio in maniera più anonima.


Account ostili e moltiplicazione artificiale

La figura del troll è ben nota: chi interviene nelle discussioni solo per provocare, disturbare o polarizzare. Quando un intero profilo è costruito apposta per questo scopo, si parla di account troll. In questi casi l’identità stessa non ha altro scopo se non alimentare conflitto.

Il fenomeno si amplifica con le troll farm, strutture organizzate che gestiscono decine o centinaia di profili falsi per diffondere disinformazione o attaccare avversari politici. Qui non si tratta più di singoli individui molesti, ma di veri e propri apparati che usano la moltiplicazione delle voci come arma. Analogamente, ma con lo scopo “positivo” di avvantaggiare qualcuno invece che danneggiarlo, esistono le click farm, organizzazioni che impiegano persone o software per gonfiare artificialmente visualizzazioni e interazioni.

Naturalmente, non tutte queste interazioni sono effettuate da esseri umani in carne e ossa, ma da sistemi automatizzati. I bot sono programmi che simulano utenti reali: possono servire a scopi banali, come generare like o commenti, ma anche a campagne più sofisticate. Si parla di raid, o specificamente di bot raid, quando vengono impiegati bot per inondare gli spazi di una community online (ad es. Discord o Twitch) con contenuti spam al fine di danneggiarla.

Un attacco ancora più mirato e orchestrato è l’attacco di Sybil, che consiste nel creare un gran numero di identità false con l’obiettivo di ingannare un sistema distribuito o una comunità. È un concetto nato in informatica ma entrato anche nei dibattiti pubblici quando si parla di sicurezza online. Il nome viene dal romanzo Sybil di Flora Rheta Schreiber, che racconta di un caso di personalità multiple: una metafora perfetta per descrivere un singolo attore che si finge molteplici individui.


La creazione del consenso artificiale

All’interno delle discussioni digitali esistono termini per descrivere identità fasulle create con scopi specifici. Un sockpuppet è un account alternativo (alt account) usato da una persona per sostenere se stessa in un dibattito o per dare l’impressione di un consenso più ampio. Il termine riprende l’immagine di un burattino creato con un calzino, a cui si fa muovere la bocca con una mano per dare voce alle proprie parole come un ventriloquo.

Quando la pratica si fa sistematica e organizzata, si parla di astroturfing: creare l’illusione di un movimento spontaneo a favore di una causa, mentre in realtà dietro ci sono interessi precisi e pianificati. La sua etimologia è legata ad “AstroTurf”, marca americana di erba sintetica, ed è contrapposta al termine “grassroots” (l’erba vera), che si riferisce ai movimenti che partono dal basso: si tratta quindi di un consenso finto, costruito dall’alto ma mascherato da popolare. In questi contesti si parla talvolta anche di shill, termine inglese che indica chi finge di essere un utente indipendente ma in realtà è pagato o incentivato per promuovere un prodotto, un’idea o una persona.

Le manipolazioni digitali prendono forma anche grazie ai profili falsi, ma hanno ripercussioni molto concrete, sull modo in cui si formano le opinioni online. Le echo chamber, o “camere dell’eco”, sono ambienti dove circolano sempre le stesse idee perché voci critiche e alternative vengono espulse o sommerse. Le identità fasulle, i bot e le troll farm contribuiscono a rinforzare questo effetto, alimentando polarizzazione e diffidenza. Questo intreccio di voci finte e automatizzate finisce per modificare il funzionamento stesso delle piattaforme. Invece di essere luoghi di confronto aperto diventano ambienti chiusi, o “bolle”, dove il pluralismo viene accantonato a favore di un’unica prospettiva, estremizzata e riverberata. In questo contesto non è raro che gli utenti finiscano per cadere nei cosiddetti rabbit hole, tane del coniglio, percorsi di contenuti che li trascinano sempre più in profondità dentro un’unica narrazione. Un circolo vizioso polarizzante che rende sempre più difficile recuperare uno sguardo critico.


I neologismi come arma della verità

Il lessico che descrive profili fake, bot, catfishing o astroturfing non è soltanto un inventario di parole nuove. Racconta il bisogno crescente di difenderci in uno spazio dove la fiducia è fragile. Dare un nome a questi fenomeni significa renderli visibili e quindi individuabili e affrontabili. La proliferazione di termini sul falso digitale è la prova che non consideriamo internet come un luogo neutro, ma come un campo dove autenticità e manipolazione convivono e si scontrano ogni giorno.

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