67 (six seven): da meme virale a parola dell’anno

sixseven meme parola dell'anno 2025

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Dal brano di Skrilla al gesto di Kinney, dal ragazzo sugli spalti a ChatGPT 6-7: come un numero senza senso è diventato il simbolo della Generazione Alpha

Il sito Dictionary.com ha scelto come parola dell’anno 2025 qualcosa che, in realtà, non è nemmeno una parola. Il meme “67”, da leggersi six seven, è un’espressione che non significa nulla e che proprio per questo è riuscita a dire tutto. Due cifre diventate suono, gesto, appartenenza. È il riassunto perfetto della lingua della Generazione Alpha, quella dei ragazzi nati dopo il 2010, cresciuti dentro TikTok, abituati a comunicare per frammenti, per ritmo e imitazione.

È un numero pronunciato ad alta voce, senza logica apparente. Eppure, dietro questa assenza di significato, c’è un fenomeno linguistico e culturale che racconta come il linguaggio dei giovanissimi si stia trasformando in tempo reale, scivolando sempre più nel terreno del gioco e dell’appartenenza.

Dalle tracce di Skrilla al gesto di Kinney

Le origini di six seven vanno cercate nella scena rap di Philadelphia: Doot Doot (6 7), una canzone pubblicata dal rapper Skrilla nel 2024, è l’origine del meme six seven, parola dell’anno 2025. Il significato del numero, fin dall’inizio, è stato oggetto di svariate ipotesi: per qualcuno rimandava a un codice di polizia (il 10-67, usato per segnalare un decesso), per altri a una strada della città o all’altezza di un giocatore NBA, LaMelo Ball, citato nel testo. Ma lo stesso Skrilla ha poi chiarito di non aver mai pensato a un senso preciso. Il suono funzionava, il numero restava in testa, e tanto bastava.

A farlo esplodere ci ha pensato Taylen Kinney, giovane cestista statunitense che in un video diventato virale dava un voto a un drink dicendo “tipo un sei… un sei-sette”, muovendo le mani come a pesare due scelte.

Quel gesto, ripetuto in decine di clip, è diventato il cuore visivo del meme: due mani che oscillano, come una bilancia, accompagnate da un tono mezzo ironico e mezzo complice. Da lì, six seven è uscito dal contesto della canzone per diventare un segnale autonomo, un codice che esiste solo per chi è nella cerchia.

Il video sugli spalti e la nascita del meme globale

Il momento decisivo arriva qualche mese dopo, in modo totalmente casuale. Durante una partita di basket amatoriale, le telecamere inquadrano un ragazzo sugli spalti. Sorride, guarda verso l’obiettivo e grida con tutta la voce che ha in corpo, facendo il gesto di Kinney: “SIX SEVEN!”


Quel video diventa virale in poche ore. È in quel momento che Six Seven passa da semplice trend di TikTok a meme globale, consolidandosi come espressione simbolo del 2025. Il ragazzo, ribattezzato “Mason” dagli utenti, diventa la faccia del meme: l’incarnazione dello studente fastidioso che ripete frasi senza senso finché non fanno ridere. Da lì la valanga: remix, montaggi, imitazioni, meme su meme. La canzone di Skrilla torna a circolare come colonna sonora dei video NBA, e “six seven” diventa un tormentone mondiale.
È la consacrazione definitiva del linguaggio “vuoto” che però funziona: dire qualcosa che non significa nulla, ma che tutti riconoscono come segnale d’intesa.

Da South Park a ChatGPT: il meme entra nella cultura pop

Quando South Park decide di dedicarle un episodio, è chiaro che un fenomeno ha ormai raggiunto lo status di icona. Nella puntata, Cartman inizia a ripetere ossessivamente il numero “six seven”, finendo per essere posseduto dal demonio e poi esorcizzato da Peter Thiel: una parodia perfetta del panico con cui gli adulti reagiscono a ciò che non capiscono. È il momento in cui il meme passa ufficialmente dalla rete alla cultura pop, assumendo lo stesso rango di altri tormentoni generazionali.

Ma forse la vera misura della sua diffusione è data dal grado di penetrazione in ambito aziendale, dove le società si appropriano dei fenomeni di massa e tentano (non sempre in maniera riuscita) di convertirli in mezzi per ottenere visibilità e profitto. Sam Altman, cofondatore di OpenAI, ha scherzato sul fatto che la prossima versione di ChatGPT non si chiamerà più GPT-6, ma GPT-6-7, come omaggio al tormentone che i più giovani non smettono di ripetere. Una battuta, molto probabilmente, ma significativa: quando un’azienda di tale portata cerca di capitalizzare su di esso, significa che il meme ha chiuso il cerchio.

Dall’America all’Italia: il salto internazionale

Come ogni moda nata online, six seven ha superato in fretta i confini statunitensi. In Italia è arrivato poco dopo, trascinato da TikTok e dai reel dell’NBA. Nei corridoi delle scuole si comincia a sentirlo come intercalare, detto a caso tra amici, o urlato solo per far ridere.
Molti ragazzi non sanno da dove venga, ma lo pronunciano lo stesso. E chi prova a vietarlo, genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, non fa che alimentarne il fascino. È l’ennesimo esempio di slang giovanile che vive nella ripetizione e nella viralità, un suono condiviso che vale più del suo significato.
Ad esempio, di seguito c’è un video dell’account TikTok della Juventus che riprende il meme six seven.

@juventus

6 7 🗣️‼️‼️‼️ #meme #67 #UCL #juventus #bvb (meme assets: @🦬🏹Первобытный🏹🦬 )

♬ original sound – Sanity

Un numero come specchio della lingua di oggi

Che un numero senza senso sia diventato la parola dell’anno può sembrare un paradosso, ma è una scelta perfettamente coerente con il nostro tempo. 67 rappresenta la nuova forma della lingua online, dove il valore di una parola non sta nel significato, ma nel gesto, nella complicità, nel suono che circola.
Ogni generazione ha avuto il suo modo di confondere gli adulti: prima erano le abbreviazioni, poi le emoticon, poi gli slang. Oggi sono i numeri, i meme, i nonsense pronunciati come se avessero un senso. In questo, six seven è più di una moda: è il ritratto del linguaggio giovanile nell’era dei meme, una lingua che si piega alle logiche dell’algoritmo, capace di diventare globale senza mai voler dire nulla davvero.


Se ti interessa l’argomento, leggi anche l’articolo Da Skibidi a Delulu: i neologismi di TikTok entrano nel Cambridge Dictionary su Slengo Magazine.

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